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Nina Tempesta e il signor Schmitt

incipit

 

Verdefoglia sbuffò per l’ennesima volta, lanciò via le scarpe e si sdraiò sul divanetto della microscopica sala d’attesa. Era il suo primo giorno di lavoro.

«Non soffriresti un solo istante di noia, se prendessi in mano un libro.» commentò Nina dall’ufficio.

«Dovrei imparare a leggere, prima.»

«Naturalmente. Così riempiresti i tempi morti...»

Verdefoglia si alzò. Percorse fischiettando i due metri che separavano il divanetto dall’ufficio di Nina, si accomodò sulla poltrona di fronte alla scrivania e si mise a contemplare il soffitto.

«Allora?» disse Nina senza sollevare la sua bella testolina di gnomo dal grosso tomo che stava consultando. «Ti insegno a leggere?»

«No grazie.» giunse secca la risposta di Verdefoglia. «Finirei per diventare come te e Jimi Cuordiradice.»

«Cosa abbiamo che non va, io e lo stregone Jimi Cuordiradice?» disse Nina, calcando sulla parola “stregone” come se fosse stata un titolo onorifico da incensare con la voce.

«Niente di particolare... Solo che non voglio diventare come voi.» rispose Verdefoglia. «Ti sei accorta che c’è della muffa lì nell'angolo?»

Nina non lo badò. Scosse la testa e tornò a leggere. Suo cugino non era stupido, solo che a volte si ostinava a farlo credere. E ci riusciva bene, a dire la verità. Anzi, spesso gli riusciva meglio fare lo stupido che fare se stesso, e non era una bella cosa. Se fosse andato avanti così non avrebbe mai trovato una fidanzata e i suoi amici avrebbero continuato a trattarlo con la solita aria di sufficienza; Verde era un grande, dicevano i ragazzi... Ma dalle loro facce si capiva che nessuno avrebbe voluto essere come lui.

Invece avrebbero voluto essere tutti come lei: Nina Tempesta, la catturamostri.

Che di mostri, a dirla tutta, non ne aveva catturato nemmeno uno. Ma era un dettaglio trascurabile, una mera questione di tempo perché -Nina ne era arcisicura- prima o poi la sua occasione sarebbe arrivata.

A ogni modo l’ufficio di Nina Tempesta “detective catturamostri” -come reclamizzavano i suoi biglietti da visita- restava vuoto, e Verdefoglia, stravaccato sulla poltrona, masticava una radice di liquirizia e faceva rimbalzare una pallina. Toc, toc, toc. Irritante davvero, se ci si deve concentrare nella lettura di un saggio sulla storia dei Piccoli Orchi.

Nina si stropicciò gli occhi. Ripose il libro nello scaffale alle sue spalle e aprì un volumetto che teneva sotto la scrivania: “Un Amore a Trelarici”.

«Cosa leggi?» disse Verdefoglia, intercettando il cambio.

«Perché, t’interessa?»

«Per nulla, a essere sincero. È solo che mi annoio maledettamente...»

«Allora gioca con la tua pallina, il tempo passerà.»

«Dai, dimmelo!»

Nina sbuffò. «Storia e genealogia delle dieci generazioni dei Piccoli Orchi prima della guerra dei Cento Nani.»

A Verdefoglia quasi cadde la radice di bocca. «Ecco, questo conferma la mia teoria sulla lettura. Vado a fare un giro.»

«Non se ne parla nemmeno! Io vado a fare un giro. Tu resti qua cugino, e se viene qualcuno, dì che torno subito.»

Verdefoglia alzò gli occhi al cielo. «Va bene, capo.»

Nina uscì in strada, aveva bisogno di cambiare aria. Avanti di questo passo, sarebbe diventata vecchia dando la caccia ai ladri di polli insieme a quel cervellone di suo cugino...

Si infilò nel bosco e vagò senza meta finché arrivò in vetta alla collina che sovrastava Viticella, la sua città. Vide i boschi circostanti, il fiumiciattolo che strisciava giù a valle, le montagne lontane. Inspirò a fondo e le parve di sentirsi meglio. La vita è lunga... si disse.

Tornò in ufficio, Verdefoglia era seduto alla sua scrivania e faceva scorrere con il pollice le pagine del romanzo.

«Non stavi affatto leggendo quel brodo lungo sui Piccoli Orchi.»

«Come fai a dirlo se non sai leggere!»

«So contare! E qui -disse Verdefoglia indicando il frontespizio del libretto- conto quattro parole, non le otto o nove che mi hai letto prima.»

«Bravo. Capisci ora perché ti ho assunto?»

«Allora?»

«Non te lo dico, impara a leggere.»

«Senti saputella, è stato qui Cuordiradice.»

«E cosa ha detto?»

«Niente, gli ho detto che tornavi subito.»

«Ma non potevi chiedergli almeno se era qualcosa di urgente?»

«Se lo avessi fatto, cugina cara, mi avresti sgridato perché trattare con i clienti non è compito mio!»

«Smetti di fare lo stupido! Jimi Cuordiradice non è un cliente e...»

«Ragazzi!» disse una voce alle loro spalle.

«Cuordiradice!» disse Nina, voltandosi di scatto e sorridendo allo stregone. «Benvenuto.»

«Non è professionale il vostro comportamento.» riprese lo stregone. «Se fossi un normale cliente avrei già girato sui tacchi!»

«Sì, ma tu non sei un cliente...» disse Nina.

Cuordiradice alzò gli occhi al cielo. «Avete sentito la notizia? Uno degli arieti dei Piccoli Orchi è impazzito. È diventato carnivoro e ha fatto strage nei boschi.

«Si tratta di una faccenda seria, vorrei che voi ve ne occupaste.» aggiunse dopo un istante.

Verdefoglia e Nina si guardarono tra loro. «Noi?» disse il ragazzo. «Perché non lo abbattono e risolvono il problema!»

«Hanno fatto proprio così. Solo che non hanno risolto un bel niente. Pare che questo cambiamento di abitudini alimentari sia una specie di malattia. Contagiosa per di più. Ora molti altri capi sembrano essersi infettati. I Piccoli Orchi non sanno più come comportarsi, i loro arieti devono essere sorvegliati continuamente e nutriti con la carne. Inoltre sono diventati ancora più aggressivi, e gli Orchi non riescono più a utilizzarli come cavalcature.

«Cosa ne pensi, Nina?»

La ragazza alzò gli occhi da “Un Amore a Trelarici”. «Penso che un veterinario farebbe al caso meglio di quanto possiamo fare noi.» rispose senza alcun entusiasmo.

Cuordiradice alzò le sopracciglia. «Come vuoi. Torna a leggere “Un Amore a Trelarici”, allora.» e uscì dall'ufficio.

Verdefoglia si voltò a guardare Nina. «“Un Amore a Trelarici”, eh... Quanto mi dai per non raccontarlo a tutti?»

Nina lo fulminò e uscì di corsa, seguendo lo stregone. «Cuordiradice! Jimi, fermati!»

Lo stregone si fermò senza voltarsi. «Credi di essere troppo intelligente?»

«Non credo niente, scusami. Ti ascolto.»

«Vieni, siediti» le disse lo stregone e si accomodò su una panchina a lato della strada. «Mai nella storia di tutti i mondi c’è stato un caso in cui una specie animale si sia snaturata in questo modo.»

«Cosa può essere successo, secondo te?»

«Tu cosa ne pensi?»

«Potrebbe essere un incantesimo?» disse Nina.

«Potrebbe essere. Ma la magia va tenuta come ultima ipotesi, io comincerei a lavorare su possibilità più concrete. Esercitare un incantesimo così potente non è cosa da tutti... Probabilmente uno stregone con almeno trecento anni di esperienza ci riuscirebbe, ma non ce ne sono molti in giro.»

«Tu quanti ne hai... per curiosità.»

«Quattrocentosettanta, o giù di lì.»

«Allora è semplice. Sei stato tu.»

«Non scherzare, Genzianina.»

«Va bene...Ti prometto che ci penserò.»

«Mi raccomando, è importante.» disse lo stregone, si alzò e se ne andò.

Nina tornò in ufficio; suo cugino stava parlando con un cliente -il primo della giornata-, uno stangone che quasi sfiorava il soffitto con la testa.

«Ecco la titolare.» disse Verdefoglia appena la vide. «Il signore ha un grosso problema, Nina: la sua famiglia è scomparsa.»

«Allora è nel posto giusto, signor...»

«Signor Schmitt.»

 

 

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